Recensione Manga – River’s Edge di Kyoko Okazaki

A cura di Livio

Titolo: River’s Edge
Autrice: OKAZAKI Kyoko
Categoria: Josei

:: Il manga in Giappone :: 
Casa editrice: Takarajimasha
Numero di volumi: 1-concluso
Anno di pubblicazione: 1993-1994
Rivista di serializzazione: CUTiE

:: Il manga in Francia :: 
Casa editrice: Casterman
Numero di volumi: 1-concluso
Anno di pubblicazione: 2007
Collana: Sakka

:: Il film ::
Data di proiezione in Giappone: 2018
Titolo internazionale: River’s Edge
Disponibile su: Netflix
Genere: Drammatico
Diretto da: Yukisada Isao
Scritto da: Setoyama Misaki
Durata: 118 minuti
Cast: Yoshizawa Ryo, Nikaido Fumi, Morikawa Aoi

Storia
Rumi: ha una storia con un uomo più grande di lei. Ciò che cerca, ciò che le aggrada, non va oltre i regali preziosi e costosi che da lui riceve. E’ la migliore amica della protagonista, ma avrà una storia torbida con Kannonzaki, il ragazzo che lei frequenta (senza troppa convinzione). Rapporto amaro e conflittuale con la sorella, sua antitesi.

Yamada: vittima di sadico bullismo da parte dei suoi compagni di classe. Ammirato, per contro, da una buona fetta di ragazze nella scuola, che ignorano la sua omosessualità. Frequenta suo malgrado Tajima, una ragazza semplice e troppo debole per riscattare la propria vita. Stringe legami profondi e importanti solo con Yoshikawa e Wakakusa.

Kannonzaki: istintivo, diretto, “sanguigno”. Agisce mosso da istinti piuttosto infantili e non è in grado di affrontare in modo maturo il proprio disagio. Si sfoga nelle droghe, nel sesso, nella violenza. Eppure, è mosso principalmente dall’amore nauseante e ossessivo nutrito nei confronti di Wakakusa.

Tajima: ama – non corrisposta – Yamada. Il suo disagio nei confronti della propria femminilità negata, i costanti tentativi di ricevere attenzione e amore, la porteranno a una sottile psicopatologia, lesiva per sé e per gli altri.

Yoshikawa: splendida top model. Avvenente e sensuale, silenziosa e riservata, soffre di bulimia e del bisogno ossessivo di opulenza e abbondanza. Prova una non celata attrazione per Wakakusa, mentre le sue frequentazioni si limitano a Yamada, con il quale condivide un macabro segreto.

Wakakusa: è la protagonista. Più spettatrice che attrice, assiste all’evolversi delle vicende non senza rendersi parte attiva. L’intera storia ruota, seppur indirettamente, intorno alla sua figura.

La vita di questi ragazzi è scandita dai soliti ritmi scolastici, dalla scoperta dell’amore, dalla ricerca di un’anima gemella. La scuola è disegnata come pretesto per l’incontro e il confronto tra i protagonisti. Non assisteremo mai a lezioni, interrogazioni, compiti in classe: piuttosto a confessioni sul tetto dell’edificio, a episodi di bullismo nei cortili, alle chiacchiere e ai pettegolezzi in mensa e in aula.
Le vite dei protagonisti si intrecciano lentamente, ma non si saldano mai completamente. Almeno finché due elementi coagulanti emergeranno dalla “normalità” della routine. Dei gattini che crescono nel cortile della scuola, di cui Yamada e Wakakusa si occuperanno (una poetica metafora dell’amore, della crescita, del rapporto tra filiarità-paternità).
E, per contro, della scoperta di un cadavere ormai putrefatto nei pressi del fiume. Un segreto tra Yamada e Yoshikawa, presto esteso a Wakakusa. Il solo guardare quel corpo inerte, vinto, sopraffatto dalle leggi naturali e chimiche, ormai decomposto e beffardo – dall’alto della sua macabra imponenza – placa gli inquieti animi dei protagonisti. E’ una spugna catalizzante delle frustrazioni e del dolore. E’ la consapevolezza che c’è una fine, sempre, che c’è una soluzione. Una ipnotica costante che rimarrà viva per tutta la durata della storia.
E poi c’è una misteriosa fabbrica, che emette perennemente scarichi bianchi nel cielo grigio. E c’è un ponte che taglia in due la città, che passa sul fiume, un ponte di acciaio, freddo, sporco, testimone di sigarette e confessioni rubate. Si sviluppano in questo scenario urbano storie di amori, di vendette, di rivalse, di solitudine, di droga, di sesso, di prostituzione, tutto permeato da una costante cappa angosciante e opprimente, che esploderà da un momento all’altro.

Considerazioni
“Gli artisti autentici, creatori di linguaggio, sono sempre pochissimi” (B. Zevi)

E’ il caso lampante di Kyoko Okazaki: classe 1963, non impiega troppo per imporsi sulla scena fumettistica con il suo stile audace e dirompente, con i suoi testi pregni e innovativi, carichi e mai scontati e una grafica incisiva, tagliente, violenta, sincopata.
“River’s edge”, che segue “Pink” e precede “Helter skelter”, è parte di una trilogia “immaginaria” che ha il raro potere di creare un nuovo modo di fare arte, un procedimento avanguardistico che non si limita al mero pensiero antitetico rispetto al fumetto tradizionale, ma ne sovverte i dettami e si propone di operare nel segno dell’istintività, del furor, della novità.
Il nuovo fumetto anni 90 pone le basi per una letteratura psicologica, i protagonisti sono mossi da pensieri ed elaborazioni non sempre razionali e condivisibili, ma sempre in linea con le loro personalità e la loro formazione, fronteggiano più o meno inconsapevolmente manie e nevrosi. I temi anche questa volta attingono al quotidiano. Ma Kyoko intesse la sua tela con rara maestria, fuggendo abilmente dai facili luoghi comuni e da una narrazione furba e studiata. Non teme la realtà, e porta alle estreme conseguenze la propria visione della vita e dei tristi anni 80-90 nel Giappone consumista.
Wakakusa è formalmente la protagonista della vicenda, è il trait d’union tra i personaggi e i loro differenti vissuti, perché la narrazione non è sviluppata secondo un unico punto di vista, bensì corale. Ciascuno dei personaggi ha qualcosa da dire, e lo fa in prima persona, senza intermediari e senza i filtri del narratore interno. Le prime pagine di apertura ci accolgono presentando, prima che i personaggi, il teatro su cui si muovono le loro vite. Un fiume stagnante scorre lento e attraversa la città. L’odore insalubre e malsano circonda e permea ciascuna pagina del fumetto.
I nostri protagonisti sono fondamentalmente soli, vittime dell’inerzia e dell’ignavia. Ciascuno di loro cerca un contatto, cerca la comunione emotiva e mentale, ma nessuno di loro ne troverà. L’amicizia è spesso un atto formale, dietro al quale mascherare il dolore, la solitudine, i segreti, la propria vita. Il sesso non è che dolore, sangue, emissione di liquidi, una squallida valvola di sfogo della violenza e del dolore, quando non è una triste rinuncia sublimata nei contatti furtivi e nei feticci, rubati e gelosamente custoditi.
L’amore è vissuto esclusivamente a senso unico. Wakakusa accetterà le avance di Kannonzaki non per un interesse reciproco, ma per totale inerzia. Pur di frenare gli episodi di violenza verso il suo amico Yamada.
Kannonzaki, d’altra parte, vive con molta libertà la scoperta della propria sessualità, arrivando a intrecciare una storia clandestina con la migliore amica di Wakakusa.
Yamada vivrà la propria omosessualità reprimendosi e mai accettandosi, cercando di educare i propri sentimenti frequentando senza alcun interesse Tajima e censurando l’interesse crescente che prova per il senpai del club di calcio.
Tajima lotterà fino alla fine pur di vedersi ricambiata da Yamada, arrivando a sacrificare la sua dignità e sfiorando la follia.
Yoshikawa è apparentemente il personaggio più enigmatico della vicenda: torbido e sfuggente, ha ben chiaro in mente ciò che vuole e prova in tutti i modi a ottenerlo. Non maschera la sua attrazione per Wakakusa, anzi, la esterna in maniera piuttosto esplicita.
RIVER’S EDGE parla fondamentalmente della scoperta della vita, del confronto con la morte. I ragazzi che popolano con le loro personalità le bianche pagine del manga sperimentano sulla propria pelle il miracolo della nascita, della crescita, dello svezzamento, attraverso dei gattini randagi che vivono nei pressi della scuola. Metafora delle loro esistenze e dei loro sentimenti, fragili e vibranti. Toccano con mano la morte: i gattini vengono barbaramente uccisi. E un cadavere, trovato sulla riva del fiume, è il loro macabro segreto, una sorta di totem arcaico, simulacro del loro dolore, della frustrazione, della sofferenza silenziosa e agghiacciante. Una ricerca pulsante e ossessiva di battiti vitali e carne decomposta. Una tragica esperienza di sensazioni forti, contrastanti, violente, reali, che combattono con lo stagnante incedere del fiume, che scorre lentamente lordandosi degli scarichi industriali, senza mai riuscire a tergere almeno di poco il putrido malessere che aleggia sulla cittadina. Gli occhi dei protagonisti: troppo giovani per capire, troppo disincantati per filtrare, indelebilmente segnati dalle drammatiche esperienze delle loro vite. Una preziosa lezione, che Moyoco Anno non dimenticherà.

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