Recensione Manga – Demon Diary di Kara e Lee Chi Hyung

A cura di Koori (testi) e Martina (grafica)

Titolo: Demon Diary
Autori: Kara e Lee Chi Hyung
Categoria: Sunjeong Manwha
Nota: il manwha disegnato da Kara ( pseudonimo sotto cui si celano in realtà due diverse persone, Yoo-Gyeong Kim e Eun-Sook Jeong ) ha visto sostituirsi, dopo il primo volume, nella creazione della storia Lee Yun hee a Lee Chi Hyung.

:: Il manhwa in Corea :: 
Casa Editrice: Sigongsa
Numero di volumi: 7 – concluso
Data inizio pubblicazione: 2000

:: Il manhwa in Italia ::
Editore: FreeBooks
Numero di volumi: 7 – concluso
Inizio pubblicazione: Settembre 2006
Formato: Brossura con Sovraccopertina – 13 x 18 cm
Distribuzione: fumetterie e online
Periodicità: mensile
Prezzo: 5,90 euro.

Storia
Mutare la propria condizione sociale dall’oggi al domani sicuramente comporta qualche difficoltà di adattamento…
la cosa rischia di diventare un vero e proprio problema, però, nel caso in cui da membro – inefficiente – di una gilda di ladri ci si trovi a occupare l’ambita, ma onerosa, carica di “signore dei demoni”!
È quanto capita al protagonista di Demon Diary, il giovane Raenef, che, più che a imparare ” ad appiccare incendi”, ” a causare devastazioni”, “a cospirare per conquistare il mondo”, “a catturare principesse” e (possibilmente) “a non essere fatto fuori da un cavaliere”, sembra essere portato a creare problemi e mettere in imbarazzo il demone che gli fa da tutore, il richiestissimo (presso le alte corti demoniche) Eclipse.

Incaricato dagli dei di mettersi in cerca del successore di Raenef IV, morto prima di poter nominare un erede al quale trasmettere il proprio nome e i propri poteri, Eclipse ha riconosciuto nel giovane ladro Raenef (incontrato nel sud del paese, secondo l’indicazione avuta dal demone veggente Meruhesae) i poteri dello scomparso “signore dei demoni”. Ma per Raenef utilizzare inconsapevolmente i propri poteri per difendersi e dimostrarsi all’altezza di una carica così importante sono due cose diverse. Nonostante egli infatti cerchi di applicarsi nello studio e di seguire gli insegnamenti di Eclipse, il ridicolo sembra accompagnare tutte le sue apparizioni ufficiali: definito un “pagliaccio” dal supremo re dei demoni, la norma è che nessuno si accorga di lui, presupponendo che il vero “signore dei demoni” sia in realtà Eclipse.

Tuttavia il fatto di avere un carattere positivo, un aspetto grazioso e inoffensivo e una bontà al limite dell’idiozia evidentemente aiuta, se non altro ad attirarsi le simpatie di chi in principio era incline a far fuori il nuovo “signore dei demoni”!
Erutis, il cavaliere (si scoprirà solo in seguito che è una donna) introdottosi nel castello di notte, durante l’assenza di Eclipse per uccidere Raenef, si piega di buon grado – una volta sconfitta e ottenuta salva la vita grazie all’accomodante ingenuità del giovane demone – alla vita nel castello, mettendo anche al servizio di Raenef (più volte in difficoltà nel corso della storia) le sue doti di scherma.
Ma Raenef sembra avere un’autentica predisposizione per attirare nella sua orbita e a trasformare in alleati coloro che dovrebbero essere i suoi più strenui avversari: fuggito dal castello per condurre una vita errante, a suo parere in grado di forgiarlo per la sua carica (che sente di non ricoprire a dovere, con il risultato di gettare nell’imbarazzo Eclipse), si fa stupidamente “evocare” all’interno del santuario di Rased dall’apprendista chierico Chris, determinato a ucciderlo (e Chris è in effetti l’unico, che, per ragioni di eccessiva autostima, dà credito all’affermazione di Raenef di essere un signore dei demoni!) e salvato da Eclipse, torna al castello con a carico una bocca in più da sfamare… lo stesso Chris, di cui il monaco capo si è liberato, dandolo ai due demoni come “risarcimento” per l’incidente diplomatico creatosi.

Proprio Erutis e Chris si riveleranno d’aiuto a Raenef quando questi dovrà lottare contro un altro signore dei demoni venuto a sottrargli Eclipse per farne il suo attendente. Spediti in un mondo di sogni, nel quale la magia di Raenef non sembra avere effetto, i tre dovranno contare sulle proprie capacità per cavarsela fino a che non giungerà loro un aiuto da qualcuno che avrebbe dovuto essere già morto…

Si forma così, intorno al giovane “signore dei demoni”, un’eterogenea compagnia, destinata ad arricchirsi di sempre nuovi – e strani elementi – intenti a osservare, divertiti ed esasperati, i semi-inesistenti progressi di Raenef sulla strada che porta a diventare un “vero” re dei demoni, una strada che il ragazzo percorre in maniera del tutto personale, riuscendo a convincere anche l’austero Eclipse che un signore dei demoni “buono”, in fondo, non solo non è poi così male, ma è addirittura preferibile.

Considerazioni
Un gioco che prende in giro il gioco.  La prima cosa che si nota, leggendo Demon Diary, è il fatto che la sua struttura sembra essere mutuata da un RPG (Role Play Game), cosa che non deve indurre però a confondere il manhwa con le numerose produzioni ispirate a titoli del mercato videoludico.
Il riferimento è in ogni caso d’obbligo, perché ricercato dalle autrici; la stessa composizione della “brigata” di Raenef risulta convenzionale: un cavaliere, un chierico e un mago (in questo caso rappresentato da un demone, Eclipse), che, come in tutti gli RPG, sono suscettibili di “promozione” all’interno della propria categoria; così il “cavaliere” è un’evoluzione del “brigante/ mercenario” (e non è un caso che Erutis adduca come ragione del suo attacco a Raenef il fatto che sia una cosa relativa al suo “ruolo”, utile per avanzare di stato) e il “chierico”, utilizzando delle armi, è in grado di salire al livello di “monaco”.
Inoltre nei diversi capitoli compaiono spiegazioni in merito al “potenziale” dei diversi personaggi , informazioni, modellate sui “libretti di istruzioni” dei videogames, riguardo al tipo di magie impiegate, mentre spesso i personaggi si esprimono in maniera tale da suggerire che una determinata azione porti al completamento di un “livello”. Anche i luoghi del manhwa sembrano ricalcare i “territori” di gioco: la città è sede delle gilde e il tempio è un luogo che accresce il potere dei monaci e diminuisce quello dei demoni.

Tuttavia se queste sono citazioni di un impianto videoludico classico, il modo in cui sono inserite e l’uso che ne viene fatto rivelano chiaramente come l’intento delle autrici sia umoristico. Il risultato è una perfetta parodia degli RPG.
Questa volontà parodica si rivela già nel titolo che sostituisce al canonico Quest il ben più prosaico Diary, a sottolineare la staticità del manga, i cui protagonisti risiedono nel “castello di fine livello”, “brigata” che non si muove, che non “cerca”, ma semplicemente vive la quotidianità di un addestramento che diviene materia, con le situazioni buffe che genera, più per un diario adolescenziale che per una saga epica…
Lo stesso protagonista di questi “eventi da diario”, il “signore dei demoni”, la cui sconfitta dovrebbe determinare lo “stage clear” ( o addirittura il “game over” ), è, per l’appunto, un innocuo ragazzino, che dà vita con il suo modo di essere, totalmente inadeguato per un demone, a una serie di equivoci da cui si sprigiona un’irresistibile comicità.

Perché è proprio il confronto fra ciò che sono in effetti i personaggi e ciò che dovrebbero invece essere, in base al ruolo ricoperto, a provocare il riso del lettore. I caratteri vengono volutamente esasperati e rovesciati: il cavaliere, oltre a essere una donna (pur priva di fascino, come viene fatto ripetutamente notare), non deve arrovellarsi poi molto per prendere la decisione di abbandonare missione (l’uccisione dei demoni, e, nella fattispecie, di Raenef), onore (con la sottomissione a Raenef, e, soprattutto, ad Eclipse) e libertà (rinuncia ben presto all’idea della fuga) in cambio della vita; il chierico Chris (un ragazzino in cui convivono, incredibilmente, la “saggezza” tipica della categoria e la stupidità propria dei personaggi destinati a far da spalla ai protagonisti) rifiuta di “cambiare stato” all’interno del proprio ordine (i “monaci” guerrieri sono in genere calvi – stereotipo – e combattono con armi che non hanno niente di “cool”), inventandosi una più confacente – alle sue aspettative – carica intermedia, fra cavaliere e chierico, a cui mirare; il signore dei demoni, venuto a contrastare Raenef e a sottrargli Eclipse, cambia con grande facilità obiettivo, innamorandosi – guarda caso – proprio della “priva di fascino” Erutis; la principessa Leeche non solo si finge un’offerta per Raenef, al fine di raggiungerlo e distruggerlo, ma una volta conosciutolo, decide – smentendo la proverbiale inattività delle principesse rapite – di renderlo il suo promesso sposo, sotto obbligo morale, per un allibito Raenef (che prende pure in considerazione il fatto di essere da quel momento impegnato!), di aspettarla per dieci anni (Leeche è infatti ancora solo una bambina).

L’umorismo del fumetto non scaturisce però solo dall’uso parodico dello schema videoludico; le autrici si divertono a creare una sorta di meta-comicità che emerge nella consapevolezza che, a momenti, i personaggi mostrano dei lettori (come quando, nel volume 4, Meruhesae spiega di essersi limitata a baciare Eclipse sulla fronte per non attirarsi le ire delle lettrici), e della struttura “fittizia” del loro mondo: Chris, per esempio, nel volume secondo, sceglie come punto di osservazione per il colloquio fra Raenef e il monaco, lo stesso del lettore, “al di qua” del confine costituito dalla vignetta, così come lo stesso Chris arriva a scavalcare le divisioni – ideali “barriere architettoniche” che separano il mondo reale da quello del racconto – della pagina, così da uscirne; operazione inversa a quella della disegnatrice che si ritrae dietro le pieghe del foglio (e qui siamo davvero al “serpente che si morde la coda”, alle mani di Escher che si disegnano a vicenda…).

Parodia nella struttura e meta-comicità si accompagnano in Demon Diary a una divertita ironia sui generi e sui gusti delle lettrici: tanti bishounen messi insieme non potevano che creare qualche equivoco shounen-ai…
Personalmente non condivido la presentazione del fumetto fatta dalla Free Books come un “fantasy-comedy con leggere sfumature shounen-ai”; il rapporto che si instaura fra i personaggi è, a mio avviso, differente dal rapporto amoroso che intercorre in una coppia.
Raenef ed Eclipse si rapportano, tutto sommato, come un padre e un figlio: la “scelta” di un erede in punto di morte, da parte del precedente detentore del nome e del titolo di “signore dei demoni”, impedisce che fra predecessore e successore si instauri un rapporto di affetto paterno/filiale, vuoto colmato dall’affiancamento al giovane principe di un tutore – che per almeno due generazioni è stato Eclipse – verso il quale il nuovo detentore del titolo tende a rapportarsi con affetto (come vediamo infatti nel flashback riguardante lo stesso Raenef IV bambino). La novità nel rapporto fra l’ultimo Raenef ed Eclipse è che – grazie alla dolcezza, che ispira protezione, del nuovo signore dei demoni – Eclipse ricambia pienamente questo sentimento.

Detto ciò, il manhwa in effetti ironizza non poco, appoggiandosi anche sull’aspetto effeminato di Raenef e sul suo carattere ingenuo, sull’equivoco che può sorgere in chi guarda dall’esterno – e senza essere al corrente dei fatti – un rapporto affettivo di questo tipo: nel secondo volume, quando Eclipse è alla ricerca dello scomparso Raenef, la gente della città – per placarne la rabbia – gli presenta una serie di efebi che rispondono alla descrizione del ragazzo, ritenendo, erroneamente, che questi siano destinati a soddisfare le sue voglie (estremamente divertente il commento delle ragazze, che vista la bellezza di Eclipse, si offrirebbero volentieri in cambio), e ancora nell’ultimo volume, quando Raenef perde la memoria e torna a far parte della gilda dei ladri, questi gli raccontano le dicerie che erano circolate sul suo conto ( ossia che era diventato lo “schiavo d’amore” dello straniero con i capelli scuri ) nel corso dell’anno che era mancato, così che, durante il suo successivo incontro con Eclipse, Raenef gli dice ingenuamente di avvertire un senso di “casa” quando sta con lui, per poi ricordarsi il commento degli amici e chiedersi (con un deformed buffissimo) che cosa sia diventato nel corso di quell’anno…

Nel commentare l’opera, mi sono volutamente soffermata sull’uso del comico in essa; sebbene infatti non manchino – timidi – tentativi di approfondire i personaggi e la trama si animi maggiormente negli ultimi volumi, le scene divertenti costituiscono indubbiamente l’ossatura del lavoro, che proprio per l’uso massivo di superdeformed (giustificato dal contesto e dalla connotazione del manhwa) non risente di quella sorta di staticità che presentano spesso le figure nel fumetto coreano.
Dovendo esprimere un giudizio definitivo su Demon Diary, non posso che esprimermi positivamente, considerandola un’opera piacevole e divertente, priva di grandi significati, ma non disprezzabile nel suo genere senza essere un capolavoro. Degna di essere letta.

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