A cura di *Livio* (testi), Wyrda_chan (grafica) e Martina (scansioni)
Titolo originale: Walkin’ Butterfly
Autrice: TAMAKI Chihiro
Categoria: Shoujo
:: Il manga in Giappone ::
Casa editrice: Ohzora Publishing Co.
Numero di tankoubon: 4, concluso
Anni di pubblicazione: 2003-2007
Rivista di serializzazione: Vanilla (Kodansha)
:: Il manga in Italia ::
Casa editrice: J-Pop
Numero di volumi: 1, interrotto
Anno di pubblicazione: 2007
Collana: Romance
Prezzo: 5,90€.
:: Drama ::
Trasmesso in Giappone su TV Tokyo nel 2008, e diretto da Kensaku Miyashita, conta 12 episodi. Tra gli attori Aoi Nakabeppu (Michiko Torayasu) e Jun Toba (Kou Mihara).
:: L’autrice ::
Chihiro Tamaki nasce nel 1975, e vede il suo esordio nel 2001 con il seinen Ryuta’s 365 Steps, edito dalla Shougakukan (Big comic spirits). Dal suo esordio, lega il suo nome a importanti case editrici nipponiche: nel 2005 vengono raccolti in tankoubon Skirt no naka wa itsumo senjo (Asahi sonorama) e I love you to itte kure! (Akita shoten). Viene infine accolta, con Walkin’ butterfly, dalla Ohzora publishing: la casa editrice giapponese nota per l’infinito carnet di pubblicazioni shoujo-josei. Walkin’ butterfly è anche la sua prima opera a godere dell’espatrio. Walkin’ Butterfly è stato pubblicato in Francia, Inghilterra e USA.
Storia
La giovane Michiko Torayasu non sembra godere di una forte autostima, vittima di una statura che l’ha purtroppo gradualmente allontanata da quell’ideale di bellezza e femminilità accarezzato dalla cultura nipponica e per il quale la nostra protagonista – suo malgrado – ha visto precludersi qualche occasione.
Il complesso della statura è cresciuto con lei e ha in qualche modo segnato quelli che sono gli anni più preziosi per la formazione, la sua adolescenza, imprimendo nella sua personalità un certo senso di sfiducia nelle proprie possibilità, e portandola a mascherare il suo corpo e la sua femminilità dietro una larga tuta da meccanico, piuttosto che a cavallo di un motorino per le consegne a domicilio.
Piccoli lavori saltuari, i soliti amici di sempre, un temperamento maschile e un po’ sopra le righe, la difficoltà nelle relazioni con l’altro sesso… ma Michiko non sa che questa vita potrebbe cambiare presto.
Incappata per caso nel backstage di una sfilata di moda, viene confusa con una modella professionista e preparata per calcare la passerella.
Quando l’entusiasmo cede però il posto alla realtà, quando Michiko è abbagliata dai riflettori e dai flash dei fotografi, perde le proprie energie e segna con un clamoroso fiasco il suo timido ingresso nel mondo della moda.
Sconfortata e amareggiata, le restano soltanto le parole di Mihara, il giovane stilista… “In passerella, non saresti in grado di fare neanche un metro. Ti manca la personalità!”.
Michiko trova in queste parole, però, il primo vero stimolo della sua vita. È spinta a porsi delle domande su se stessa e sulla propria esistenza… e la risposta la condurrà nuovamente nello stesso ambiente che inizialmente l’aveva respinta, ma con una rinnovata carica e una nuova energia, con la promessa che di lei si tornerà presto a parlare.
Considerazioni
Walkin’ butterfly è al contempo una bella sorpresa e una interessante scelta editoriale: rappresenta anzitutto la prima pubblicazione shoujo per la J-pop di carattere josei; inoltre riporta in Italia i titoli legati alla casa editrice nipponica Ohzora Publishing. Questo è un marchio che se ha dato voce a un certo ventaglio di autrici interessanti e note anche in Italia (si potrebbero citare i volumi brevi di Atomu, pseudonimo d’esordio per la ben più nota Kayono, come le storie di una Chieko Hara ormai un po’ vecchiotta e ben lontana dai fasti -grafici- di gioventù, ma anche una interessante Kahori Onozucca, e così via), porta con sé d’altro canto un triste strascico, una non ottima pubblicità qui in Italia: la collana di “adattamenti manga” di romanzi rosa, editi da noi nella raccolta da edicola “X ME”.
Di fatto, però, terminato il volumetto. ho dovuto ricredermi. Walkin’ butterfly parla di un complesso di statura, ma non è Lovely Complex. Ambienta le sue vicende nel campo della moda, ma non è Helter Skelter. Ha in copertina il primo piano di Michiko, come le sensei Asakura e Anno amano presentare i propri lavori, ma non fa il verso né all’una, né all’altra, semmai cita entrambe, seguendo didatticamente il medesimo iter che in passato ha formato molti sensei del manga.
Walkin’ Butterfly è una bella favola moderna. Dove gli ingredienti ci sono tutti. C’è una principessa chiusa nella sua gabbia (che tanto dorata non è), c’è un sogno, c’è la formula magica per realizzarlo, e c’è perfino un principe azzurro, anzi, più di uno. È una favola di cui conosciamo solo l’incipit (giacché il volume termina proprio quando la nostra Cenerentola sta salendo sulla carrozza…), ma già profuma di positivo, di lieto fine, qualcosa dice al lettore che ci saranno dei problemi, dei colpi di scena, ma si intuisce che il sogno è destinato a realizzarsi.
Michiko somiglia all’amica che tutti noi abbiamo avuto, quella ragazza un po’ mascolina e un po’ fuori di testa con cui da bambino giocavi a pallone e che non hai mai visto in gonna, che il sabato sera ti ritrovi in casa con le birre e ti straccia alla Playstation… Si prova istantaneamente simpatia per questa ragazza, circondata da amici (e non da amiche), che non riesce a trovare un ragazzo, che corre come una matta su un catorcio più somigliante alle vespette dei film neorealisti italiani che a un moderno bolide giapponese, che ha la spontanea ingenuità dei teenager e sta per scontrarsi con un mondo che tanto lucente non sembra…
Le premesse per fare di questo un buon titolo, ci sono tutte: la Tamaki sembra molto a suo agio con il pennino, disegna e inchiostra piuttosto bene, alterna al pennino rapidi e incisivi tratti di pennello e china, guarda le sensei con ammirazione e le omaggia, pescando tra le inquadrature e la regia di Moyoco Anno, l’inchiostrazione e l’espressività della Asakura, presenta la sua creatura in copertina con uno sguardo fermo e volitivo, grandi occhioni disegnati dal make up e la bocca imbronciata (a qualcuno potrebbe quasi sembrare un plagio…).
A fine lettura, si resta con la sensazione che l’autrice stessa creda molto in questa ragazza, e con l’aspettativa di un seguito all’altezza delle premesse. La stessa evidente presenza di molti cliché, in quest’opera non risulta forzata, grazie a una sceneggiatura costruita con precisione e coerenza, che riesce a evitare il rischio di accademismo e deja-vu. Attendiamo quindi che Michiko prenda atto del proprio talento innato (come la tradizione shoujo vuole, basti ricordare Hiromu Oka o Maya Kitajima), che nasca un sentimento più definito nei confronti dello stilista, che sopraggiunga una rivale, che Michiko venga ostacolata, e che poi si rialzi con le sue forze pronta per “volare”… come il titolo dell’opera ci suggerisce.
Vorrei spendere ancora un paio di parole sull’edizione italiana. Walkin’ butterfly rappresenta per me il primo volume J-pop nella mia collezione, e non avevo idea della qualità dell’edizione finché non ho avuto modo di averla tra le mani: sovraccoperta opaca con serigrafia in oro, ben otto pagine iniziali patinate e a colori, carta bianchissima e di grammatura pesante, più vicina alla tradizione editoriale francese, forse, che a quella nipponica… ma non è un difetto, tutt’altro. La rilegatura non è in semplice brossura, bensì a filo, l’ adattamento delle tavole è in alcuni casi sorprendente (basti vedere pagina 22…) e la confezione grafica dell’albo sobria ed elegante. Un piacere, insomma.
In conclusione, Walkin’ butterfly è una lettura sicuramente divertente e appassionante. Può essere un antipasto per chi ancora non conosce l’universo degli shoujo-quasi-josei, , o per chi ha difficoltà ad approcciarsi a tale filone. Non è certo il “next big thing” dello shoujo manga in Italia, ma non aspira a diventarlo. Il che, da solo, basterebbe a concedergli un’occasione.
NdEmy: di Walkin’ Butterfly è stato pubblicato in Italia solo un volume, ed è un peccato perché l’opera è una lettura gradevole, in cui si riconosce un’impronta personale, anche se in definitiva si tratta di una classica storia di formazione. La protagonista infatti prende atto che la realtà è in continuo mutamento, così come mutano i sogni e i rapporti con i personaggi del suo mondo. Chihiro Tamaki non è un’autrice di primissimo piano, difficile pertanto che qualche editore si faccia carico di rilanciare la serie.
Le citazioni
Si parlava di quanto la Tamaki fosse stata abile nel citare le sue colleghe più note all’interno del suo manga… ma i riferimenti ai masterpiece non si limitano all’aspetto grafico: proseguono, in una girandola di citazioni imperdibili.
La prima va ad Ashita no Jo (Jo del domani, in Italia Rocky Joe): a pagina 25, a seguito dell’ennesimo rifiuto sentimentale, Michiko viene raffigurata nei panni del pugile Joe, per la precisione viene riprodotta (in chiave fortemente ironica) l’ultima tavola del manga, tavola a mio parere tra le più toccanti dell’intero panorama fumettistico mondiale (in Italia, nel volume 20 della collana edita dalla Star Comics). A seguito di un allenamento disumano e alienante, al quale Jo Yabuki si sottopone, il torneo finale tra lui e il campione mondiale Jose Mendoza si conclude tragicamente per il protagonista, il quale rivive sulla propria pelle il calvario subito dal suo antagonista storico, quel Tooru Rikishi morto sul ring sempre a seguito di un percorso di privazione e fortificazione. Il trauma della perdita del suo rivale porta Jo a un cammino parallelo, che gli infligge il medesimo destino e che lo fa perire sul ring con un sorriso sulle labbra… il sorriso di chi ha finalmente raggiunto la pace con la propria coscienza, anche a spese della propria vita. Citazione importante quindi, e anche molto intelligente (dal momento che Jo è più che un icona nel paese del Sol Levante), che racchiude in una sola vignetta un insieme di ricordi e di immagini comuni al popolo nipponico e non solo.
A pagina 37, invece, è il turno di Pinoko. Come per la precedente, la Tamaki prende in prestito un’icona dell’immaginario collettivo, ovvero la celebre smorfia canzonatoria di Pinoko (la piccola compagna di avventure del dottor Black Jack, il chirurgo creato dalla fantasia di Osamu Tezuka). Facciamo la conoscenza di Pinoko nel secondo volume italiano di Black Jack (edizione Hazard), nel racconto “Il cistoma teratogeno”. Pinoko nasce come ciste nel corpo della sua sorellina, è dotata di una coscienza, e dopo l’operazione Black Jack ne ricompone le parti completamente formate all’interno di un involucro in fibra sintetica, donando vita al personaggio più umano dell’intera opera (nonostante la sua natura in parte meccanica, che ne limita la crescita al corpo di una bambina). Nel capitolo 15 finalmente compare l’espressione che caratterizzerà il personaggio (accompagnandosi spesso all’intercalare “atchon burike!”), quella smorfia di sorpresa e, talvolta, di disapprovazione, anch’essa ormai icona storica nell’immaginario giapponese.
L’ultima, imperdibile citazione, è nella simpatica storia extra in chiusura al volume. Michiko già da bambina soffriva il complesso della propria statura, e nella recita scolastica di Biancaneve, a lei spetta il ruolo… dell’albero! La citazione è divertente e azzeccatissima: si prende in prestito Glass no kamen (in Italia, “Il grande sogno di Maya”), fluviale racconto di formazione non ancora concluso in patria (edito in Italia dalla Orion edizioni), incentrato sulle vicende di Maya Kitajima e il suo percorso artistico-personale nel campo della recitazione. Le prove affrontate dalla ragazza nel corso dell’opera a fumetti sono piccoli passi da lei compiuti al fine di disputare, con la rivale storica Ayumi Himekawa, il ruolo più prezioso e difficile nella storia della recitazione. L’interpretazione de “La dea scarlatta” richiede infatti uno spirito che vada al di là della semplice recitazione, richiede infatti la capacità di calarsi nei panni di uno spirito, per la precisione lo spirito di un albero di susino.
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