Recensione Manga – Hot Road di Taku Tsumugi

A cura di Emy

Titolo giapponese: Hot Road
Autrice: TSUMUGI Taku
Categoria: Shoujo

:: Il manga in Giappone ::
Casa editrice: Shueisha
Numero di tankoubon: 4, completo
Anno di pubblicazione: 1986
Rivista di serializzazione: Bessatsu Margaret

:: Il manga in Italia :: 
Casa editrice: Dynit
Numero di volumi: 2, completo
Pubblicazione a partire da: Novembre 2020
Collana: Showcase
Prezzo: E. 29.90 a volume.

:: L’autrice ::
Taku Tsumugi nasce nel 1964 a Yokohama. Debutta nel 1982 su “Bessatsu Margaret”, la sua opera più nota è Hot Road, uno dei maggiori successi degli anni Ottanta. Dal 1995 non ha più disegnato manga se non consideriamo il volume unico The Gardener, edito nel 2007. Ancora oggi è ricordata per l’intensità delle emozioni che esprime nella narrazione. Spesso i personaggi nelle sue opere si esprimono in dialetto.

:: Il film ::
Titolo: Hot Road
Regia: Takahiro Miki
Sceneggiatura: Taku Tsumugi (manga), Tomoko Yoshida
Data di proiezione in Giappone: 2014
Durata: 119 min.
Cast: Rena Nounen, Hiroomi Tosaka

Storia
Uno degli shojo più rappresentativi degli anni Ottanta, un classico da milioni di copie vendute, incentrato sulla vita di alcuni adolescenti e della loro ribellione alla società degli adulti. Ambientato nello Shonan, nel mondo delle bande di motociclisti, Hot Road è una storia di formazione che dà voce a una generazione di giovani incompresi che fa fatica a trovare il proprio posto nel mondo (trama da casa editrice).

La famiglia di Kazuki, una quattordicenne che frequenta le medie, è composta soltanto da lei e dalla madre. Kazuki non è la classica adolescente spensierata: il padre è morto e la madre ha una relazione con un altro uomo, sposato anch’egli, che tra l’altro è l’uomo che la donna ha amato fin da liceale. In pratica il matrimonio era stato imposto alla madre dalla famiglia, quindi Kazuki, nata nel matrimonio, si sente rifiutata dalla madre, forse anche un ostacolo: probabilmente sarebbe stato meglio se non fosse mai nata. Questo stato d’animo porta Kazuki ad avvicinarsi a Eri, una studentessa di cui la comunità scolastica non dice bene: voci sussurrano che abbia già abortito. Kazuki la trova invece affabile e gentile e in effetti Eri una sera le fa conoscere i suoi amici, membri di una banda di motociclisti. La giovane viene così a contatto con un mondo del tutto nuovo, un mondo che vive di notte, con le luci dei fari dei bolidi a far gara con le stelle. Quando poi gli occhi di Kazuki si posano sul ribelle Haruyama Hiroshi, con cui si instaura da subito un rapporto conflittuale, i giochi sono fatti e la protagonista inizia il suo viaggio.
Dove la porterà la motocicletta e lungo quali strade?

Considerazioni
C’erano una volta gli anni Ottanta, i favolosi anni Ottanta. La nostalgia di quegli anni, gravidi di brillantina e capelli cotonati, di spalline indossate sotto i vestiti e di una sostanziale omologazione mascherata da liberazione sessuale torna oggi alla ribalta in serie come Stranger Things e High Score. Se poi diamo un’occhiata ai blockbuster di quegli anni, da E.T. a Indiana Jones, dai Ghostbusters a Labyrinth, dai Goonies a Flashdance, avremo l’impressione di un’epoca felice, dove grandi fiabe giocavano a spaventare lo spettatore prima del lieto fine. E sarebbe solo mezza verità, perché già in alcune delle pellicole succitate si fa strada un’insopprimibile malinconia, l’inquietudine del sapersi diversi, il rifiuto di inserirsi in una società che si avverte fasulla e vuota. Cosa succedeva a chi in quegli anni si sentiva “fuori dal giro”? Chi la famiglia felice non ce l’aveva, chi non ascoltava la stessa musica che ascoltavano tutti, chi si vestiva strano, chi non amava le etichette?
Con ogni probabilità si ritrovava nell’atmosfera oscura di Blade Runner, si perdeva nei vicoli alla fine di Nove settimane e mezzo o annegava nella vasca piena di larve di Phenomena.
Questo disagio irrimediabile, il cupio dissolvi e l’attesa di morte, come certifica Hot Road, era ben presente negli anni Ottanta anche in Giappone.
L’opera della Tsumugi focalizza un gruppo di giovani in bilico tra vita e morte, giovani perduti nella zona grigia che separa infanzia ed età adulta. La protagonista Kazuki è un’adolescente irrequieta, che non capisce la sua famiglia, non si sente amata dalla madre, quindi non sa amare a sua volta e si sente sbagliata.
Kazuki non riesce a trovare se stessa nel gruppo dei pari, non si riconosce nei loro sorrisi e si avvicina quindi a un’altra ragazza sbagliata come lei: una che viene da fuori, una che, come dicono tutti, ha già abortito. Questa ragazza è la soglia che le permette di entrare in un altro mondo, il mondo “dell’alba blu e dei fanalini rossi”. Qui Kazuki incontra il suo destino negli occhi di Haruyama e da quel momento in poi sarà tutto un gioco a rimpiattino: chi dei due premerà di più sull’acceleratore? Chi tra i due si spingerà oltre e cederà all’ansia di autodistruzione? Riusciranno queste anime perse a ritrovare la strada o periranno nell’impresa?

Hot Road è davvero un’opera intensa e profonda, non esente certo da criticità (non è possibile del resto trovare un’opera che ne sia priva): l’ariosità della tavola, che fa parlare il bianco, la parte non disegnata della vignetta, più della parte disegnata, unita a certa fissità dei personaggi (che amano molto la poker face) non gioca a favore della chiarezza espositiva, tanto che a volte sono tornata indietro nella lettura perché non ero sicura di chi avesse detto o fatto cosa. Anche la caratterizzazione grafica dei personaggi, che non mira a distinguerli con efficacia, contribuisce alla possibile confusione del lettore.
Tuttavia non mancano gli aspetti luminosi: la composizione della tavola è bellissima, alterna campi lunghi in cui i protagonisti agiscono piccolissimi a primi piani in cui gli stessi campeggiano, dominando l’ambiente. Una caratteristica che è possibile ritrovare nelle tavole di Ai Yazawa, che non a caso cita la Tsumugi tra le sue fonti d’ispirazione.
Ma è sicuramente la narrazione realistica che fa di quest’opera una gemma: l’atmosfera notturna e inquieta è tangibile; le risse, la violenza, le droghe sono tematiche che non si incontrano spesso negli shoujo manga e la stessa fissità della protagonista, il suo essere passiva e debole e sbagliata la rende estremamente vera.
In poche serie si avverte così chiaramente il vuoto esistenziale, l’andare alla deriva, il lasciarsi vivere o morire. Hot Road mi ha fatto ricordare quella “zona oscura” che si tende a rimuovere, a dimenticare… Mi ha fatto ricordare che gli anni Ottanta sono anche gli anni dell’adattamento cinematografico di Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Un’opera generazionale e necessaria, proprio come il manga della Tsumugi.

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