Recensione – Il suo nome era Gilbert (Shounen no na wa Gilbert) di Keiko Takemiya

GilbertlogoA cura di Emy

Titolo originale: Shounen no na wa Gilbert
Autrice: TAKEMIYA Keiko
Categoria: Memoir

coverjapgilbert2coverita:: L’opera in Giappone ::
Casa editrice: Shougakukan
Numero di volumi: 1
Anno di pubblicazione: 2016

:: L’opera in Italia ::
Titolo: Il suo nome era Gilbert
Casa editrice: J-Pop
Numero di volumi: 1
Pubblicato nel mese di: Giugno 2021
Costo: 14 Euro.
Il libro contiene 6 illustrazioni a colori tratte dalle opere della Takemiya. 

Contenuto
illus02GilbertIl suo nome era Gilbert è in sostanza un memoir, una narrazione sul filo dei ricordi che mira a ricostruire gli anni del mitico “Salone Oizumi”, ossia l’appartamento condiviso da Keiko Takemiya, Moto Hagio e Norie Masuyama nel 1970-72.
All’inizio Keiko Takemiya racconta dei suoi primi anni come mangaka professionista: faceva parecchia fatica per portare a termine le scadenze, ragion per cui gli editori tendevano a rinchiuderla nelle cosiddette pensioni-lattina, sostanzialmente degli alberghi dove gli autori venivano trattenuti fino alla consegna delle tavole. Si trattava di un modo per far capire al mangaka che era indispensabile mantenere una produzione costante, se voleva continuare a esercitare il mestiere. 
L’inesperienza iniziale aveva portato l’autrice a firmare con diversi editori, quindi a fronteggiare una mole di lavoro insostenibile. Gli editor delle varie case editrici si riuniscono e le impongono di scegliere la rivista che ospiterà da quel momento in poi le sue opere: la Takemiya sceglie di legarsi alla Shougakukan. Inoltre, per poter meglio condurre la propria vita come mangaka, decide di trasferirsi a Tokyo poco più che ventenne. Quando ciò accade, si ritrova a fronteggiare l’immensa solitudine di una vita regolata sulle scadenze lavorative. Ben presto la mangaka si trova in affanno. 
Quando ha la possibilità di conoscere Moto Hagio, che in quel periodo stava pubblicando i suoi primi lavori, ne è felice. Moto Hagio le presenta quella che diventerà per lei un’amica insostituibile: Norie Masuyama. La Masuyama è un’abile pianista appassionata di cinema, musica, letteratura e manga. Una persona di gran cultura, nei confronti della quale è facile sentirsi in difetto. L’amicizia che nasce tra la Masuyama e la Takemiya è profonda, tanto che quest’ultima decide di trasferirsi vicino alla residenza della prima, proponendo una convivenza proprio alla Hagio! Nasce così il “Salone Oizumi”, un luogo nato col proposito di diventare “polo attrattivo” per le nuove leve degli shoujo manga, allo scopo di rivoluzionare questo tipo di produzione, da tempo stagnante in vecchi codici e stilemi grafici. Purtroppo nascono anche i presupposti di un problema che apparirà drammatico dopo qualche anno.
Moto Hagio, trasferitasi alla Shougakukan, diventa un’autrice molto stimata, il suo genio comincia a emergere con prepotenza e la Takemiya accusa il confronto, dal momento che lei, a differenza della Hagio, fatica terribilmente a trovare una propria dimensione e un timbro personale, una specifica identità che trapeli dai suoi manga. Il continuo paragone con la Hagio, cui la sottopongono gli editor, nutre con costanza straziante il senso di inferiorità nei confronti dell’amica/rivale. Si aggiunga che già da tempo si è fatto strada nella sua mente il progetto del suo capolavoro, ma è un qualcosa che sembra improponibile. La storia dell’amore tra due ragazzi, entrambi maschi, in un collegio francese di fine Ottocento. Il nome del protagonista è Gilbert… 

Considerazioni
illus01GilbertLeggendo le parole della Takemiya ho provato ben più di un brividino. Si potrebbe pensare che i manga non abbiano a che fare con le problematiche sociali, che nascano in una dimensione lontana dalla realtà quotidiana, che siano per così dire il frutto della fantasia di un autore dotato di talento e immaginazione. L’idea romantica del “genio”, insomma. Tizio ha successo perché è dotato, Caio perché ha un’autentica passione, Sempronio ha avuto fortuna… e così via. In parte è vero, esistono doti e attitudini innate e di certo contano la fortuna, la passione e l’immaginazione. Però non bastano, e leggendo il memoir della Takemiya ciò appare evidente: coraggio, tenacia e forza d’animo sono qualità imprescindibili. 
1. Le problematiche sociali. La Takemiya e la Hagio operano in un contesto in cui i centri del potere sono esercitati per lo più da uomini (non è dato sapere, in questo senso, quanto le cose siano cambiate oggi in Giappone). Citando le parole dell’autrice: “la penuria di donne impiegate nel settore editoriale e le svantaggiose condizioni lavorative erano due questioni che saltavano visibilmente all’occhio. In particolar modo era evidente la quasi totale assenza di staff femminile all’interno degli uffici delle grandi case editrici. Molto spesso le donne assunte a contratto venivano tagliate fuori dall’organico aziendale a stretto giro. Ne risultava che la produzione di riviste a tema shojo era affidata a redazioni composte per la quasi totalità da uomini, la cui linea operativa si discostava dalla sensibilità e dalle esigenze reali delle ragazze a cui erano rivolti i contenuti (pag. 74)”. Penso sia una situazione che si può ritrovare anche altrove e che fa riflettere. Una produzione rivolta alle donne ha a che fare necessariamente con le tematiche sociali e con la questione femminile. Il motivo per cui la Takemiya ha incontrato mille ostacoli per pubblicare quello che oggi è considerato un capolavoro, Il poema del vento e degli alberi, risiede nel fatto che l’opera nasce nell’ambito di una sensibilità femminile. Questo manga, sostenuto fin da subito da Norie Masuyama, viene ostacolato dagli editor che semplicemente non lo capiscono, perché sono uomini. Il poema è stato il primo seme da cui è originata la categoria boys’ love, categoria ancora oggi invisa a una parte dei lettori di manga (cosa che non impedisce la sua diffusione, come sa chiunque segua la realtà editoriale in Giappone e in Italia). 
Dafni2. Del genio e di altre invenzioni. Leggendo il memoir della Takemiya appare evidente come la creazione di un’opera ha sì a che fare con l’immaginazione, ma tale immaginazione è nutrita da mille stimoli. Ho perso il conto dei film e dei manga citati nel libro e confluiti nella formazione dell’autrice. Ma entrano in gioco anche la musica, i musical e le opere d’arte. In particolar modo, il personaggio di Gilbert pare sia nato sulla scia dell’ispirazione nata osservando un quadro di Millet, Dafni e Cloe. Un autore ha bisogno di stimoli, perché nulla nasce dal nulla. 
Inoltre è da segnalare come significativo, in diverse opere della Takemiya (Il Poema, Hensoukyoku, Pharaoh no Haka), l’apporto di Norie Masuyama, che interviene a direzionare, consigliare, incoraggiare l’autrice, suggerendo direzioni narrative, trame e approfondimenti psicologici. Qualcuno potrebbe gridare allo scandalo. Ma come? Il manga non è tutta farina del sacco del mangaka? A quanto pare… no. 
Citando sempre le parole della Takemiya: “all’epoca era ancora diffusa la concezione che un mangaka che collaborava con qualcuno fosse inferiore agli altri, poiché un mangaka degno di tale nome avrebbe dovuto saper disegnare e scrivere storie di qualità. In realtà, la maggior parte dei disegnatori si serviva dei cosiddetti “cervelli” (sceneggiatori), ma non veniva mai esplicitato quanto questi fossero responsabili della storia, a quanto ammontasse la loro paga e così via (p. 211).” 
Infine, un po’ di gossip d’epoca. L’esperienza del “Salone Oizumi” termina con la separazione della Hagio e della Takemiya, che da quel momento in poi smetteranno di frequentarsi. Tra le righe sembra di cogliere un senso di colpa da parte della Takemiya, perché è stata lei a volersi separare dall’amica/rivale. La cosa è confermata dal libro sul “Salone Oizumi” scritto dalla Hagio, pubblicato di recente in Giappone. Comunque, anche se può spiacere che l’esperienza sia durata solo pochi anni, non si può dire che non abbia lasciato frutti duraturi nel mondo dei manga… tra l’altro un’intera categoria, quella dei boys’ love, ne è la prova inconfutabile (ma probabilmente si sono giovati dell’esperienza anche i josei).  
Per quel che mi riguarda, trovo le due autrici complementari. L’una analizza la psiche, il dramma, i conflitti sociali, l’altra esplora l’omosessualità, la morale, il corpo. Ognuna rappresenta la propria verità e non ce n’è una che prevalga sull’altra. In definitiva, Il suo nome era Gilbert è consigliabile non solo ai fan del Gruppo 24, ma in generale a chiunque sia curioso di sbirciare quel che accade dietro le quinte della produzione dei manga. 

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