Recensione Manga – Marginal di Moto Hagio

A cura di Emy

Titolo giapponese: Marginal
Autrice: HAGIO Moto
Categoria: Josei

:: Il manga in Giappone :: 
Casa editrice: Shougakukan
Numero di tankoubon: 5, completo
Anno di prima pubblicazione: 1985
Rivista di serializzazione: Petit Flower

:: Il manga in Italia ::
Casa editrice: J-Pop
Numero di volumi: 3, completo
Pubblicato a partire da: Marzo 2020
Distribuzione: libreria e fumetteria
Prezzo: 12.50 E
L’edizione contiene un paio di illustrazioni a colori in ogni volume.

Storia
Nel deserto, un ragazzo (cui poi daremo il nome di Kira) si aggira con aria desolata. Nello stesso momento, nella vicina città di Monodole un anziano capovillaggio si sta lagnando con i responsabili perché sono venuti meno al patto di consegnare i bambini, così come stabilito in precedenza. Gli viene risposto che Holy Mother è ormai anziana e non riesce più a garantire le nascite con lo stesso ritmo di prima, ma che l’indomani comunque la “Madre” si mostrerà in chiesa.
In un altro punto della città, il giovane Grinja sta macchinando qualcosa con i suoi compagni, qualcosa che dovrà avvenire l’indomani nella chiesa. Prima della mattina fatidica, Grinja decide di passare la notte in un postribolo, dove giovani ragazzi si prostituiscono. Così conosce il quindicenne Cyto, un “mosaico”, ossia un ragazzo con i colori dei bambini che ancora permangono sulle mani.
Apprendiamo che in questo mondo, in cui non esistono le donne, i bambini vengono partoriti dalla Holy Mother e distribuiti in città e nei villaggi. All’inizio i bambini sono scuri però, mano a mano che crescono, acquistano la tipica carnagione chiara. Tuttavia nel caso di Cyto si è verificata un’anomalia e il ragazzo ha ancora il colore dell’infanzia sulle mani. Cyto per questo in passato è stato ricoverato nel center medico della città e proprio per questo può indicare con precisione a Grinja come si arriva e come ci si muove in quel luogo che, guarda caso, è proprio l’obiettivo prefissato da Grinja e complici.
L’indomani, in una chiesa gremita, il gruppo di Grinja mette in pratica il piano: uccidere la Holy Mother! Il piano riesce e, nonostante abbiano compiuto un crimine inimmaginabile in un mondo privo di donne e con un’unica madre, gli assassini riescono a fuggire. Dunque, mentre attraversano il deserto, essi si imbattono nel giovane che vaga immemore tra le dune. Prendendolo per un bambino sperduto, decidono di portarlo con loro per scambiarlo al mercato con dei bufali. Al ragazzo sembra dunque riservato il triste destino degli inermi. In effetti, l’indomani viene venduto ad Ashijin che, osservatolo al mercato, decide di comprarlo scambiandolo con un bufalo. Tutto questo mentre in città qualcuno sta decidendo chi sarà la prossima Holy Mother, visionando una lista di candidati composta esclusivamente da… maschi. E fin qui solo i primi due capitoli!

Considerazioni
L’idea di base di Marginal può nascere da un romanzo come Consider her ways di John Wyndham (citato nel manga col titolo dell’edizione italiana Amazzone): in questo romanzo si ipotizza l’esistenza di un mondo di sole donne. Alla Hagio però non interessa tanto l’azione drammatica quanto le conseguenze sulla struttura della società. La sua è proprio la Social science fiction, la fantascienza sociologica che più sull’azione pura si interroga sull’impatto di un’ipotesi futuristica sulle dinamiche sociali. Non a caso, nel manga si cita esplicitamente anche The Time Machine di H. G. Wells, un famoso esempio di questo filone s-f. Quindi a essere sollecitata nei manga della Hagio è quel che Ray Bradbury chiama “sostanza” (di Bradbury tra l’altro la Hagio ha adattato in fumetto i racconti di “R is for Rocket”): tessuto connettivo, nucleo pulsante e materia di riflessione.

Se avete letto il racconto breve La sentinella di F. Brown (1954), sapete che cosa significa capovolgere il punto di vista del lettore, portandolo a riflettere su alcuni pilastri alla base della struttura del pensiero, quali, per esempio, l’etnocentrismo. Se non lo avete fatto, vi invito a farlo… il racconto si trova facilmente online e vi porterà via pochi minuti.

Moto Hagio applica, naturalmente su scala amplificata, la stessa strategia narrativa. All’inizio vediamo un ragazzo vagare nel deserto, e viene naturale pensare che ci troviamo nel nostro mondo. Poi un po’ alla volta ci rendiamo conto che non è così. Forse è la Terra, forse no, eppure in questo mondo, ci viene detto, le donne non esistono, quindi accettiamo di sospendere la nostra incredulità, senza renderci conto di quel che implica, perché non possiamo sapere cosa significa davvero vivere in un mondo privo della dicotomia dei sessi. Certo, ne abbiamo un’idea perché magari abbiamo letto Ursula Le Guin, e la Hagio ha già raccolto dal solco seminato dalla Le Guin in Siamo in undici. Adesso prosegue quel discorso, portandolo alle estreme conseguenze.

Nel mondo senza donne capiremo che parole come donna, gay, omosessuale o eterosessuale non hanno senso, che la pederastia è eletta a sistema, che ci si suicida perché la natura ti ha fatto nascere col desiderio di far nascere tuoi simili senza dartene l’opportunità. In altre parole: il lettore è sottoposto a un vero e proprio shock culturale, visto che non può fare a meno di giudicare con dei parametri che sono diversi rispetto a quelli in uso nel mondo descritto – con grande maestria – dalla Hagio.

Nella “città cupolata” di Monodole e dintorni i sentimenti si fanno più sfumati e si indirizzano alle varie fasi dello sviluppo dell’uomo. La fase adolescenziale, essendo androgina, è la destinataria sia dell’inclinazione affettiva che delle pulsioni sessuali (non finalizzate alla riproduzione). I bambini privi di affidatario e di eredità vengono affidati a postriboli che li allevano fino a quattordici anni e poi li mettono a servizio: solo prostituendosi, se saranno fortunati, troveranno un compagno stabile che sarà la loro famiglia. Esiste il concetto di maternità, ma questo è sublimato, assurge alla sfera divina (Holy Mother), non appartiene quindi alla quotidianità e le persone comuni possono solo sperare di poterne un giorno beneficiare: fanno una richiesta/preghiera alla Madre e si struggono nell’attesa fino a quando, se saranno fortunati, un giorno saranno beneficati di un bambino a loro affidato.

Sembrerebbe emergere una visione speculare della società patriarcale, ma sarebbe un’ipotesi troppo semplicistica. Nel mondo senza donne di Marginal la presenza delle donne è evocata attraverso la loro assenza: dal momento che le donne non esistono, gli uomini devono colmare la perdita dell’altro-da-sé ed elaborare delle soluzioni non solo riguardo la procreazione, ma anche riguardo l’affettività e il desiderio che completa la mancanza. L’amore per il diverso-da-sé si indirizza perciò verso gli adolescenti, che evocano la “dolcezza” delle donne e la predisposizione alla cura (Ashijin infatti si aspetta che il giovane Kira si occuperà della grotta che è la sua casa). Come a dire: le donne non sono mai state così importanti come nel mondo privo di donne della Hagio.

A dirla tutta, la Hagio inizia la storia introducendo l’idea di maternità (Holy Mother) ma, una volta che questa tematica si è esaurita nel manga (non dirò come per evitare spoiler), Grinja e Ashijin sentono il bisogno di ricongiungersi a Kira (che per loro è l’equivalente della “donna”), e non per la possibilità di procreare. Anche quando il problema della maternità sarà risolto, sarà la persona a mancare, non il suo utero. Nella storia c’è un personaggio ossessionato dalla funzione dell’utero… be’, è un mad doctor con un trauma non da poco alle spalle. Come a dire: c’è veramente qualcuno tanto folle da identificare la donna con il suo utero? Quindi una donna che non procrea non è una donna? Siamo proprio sicuri di ciò? Sbaglierò, ma a me sembra che attraverso la tematica della procreazione collegata alla femminilità la Hagio finisca con l’affermare l’esatto contrario, cioè che la donna non finisce con la vita biologica delle sue ovaie, un po’ come l’assenza delle donne ha evocato in negativo la loro presenza… affermando, e pure in modo categorico, l’importanza e la necessità dell’esistenza delle donne nella società… il loro essere indispensabili. Del resto Marginal è un capolavoro: qualcosa che non ci si stanca mai di analizzare da molteplici punti di vista. Il mio è un punto di vista femminile, il punto di vista di una donna che quando vede un mondo privo di donne in cui i maschi adulti si scelgono i fanciulli come compagni, pensa: vedi? Questo succede quando non ci sono le donne: gli uomini diventano tutti pederasti! Questo significa che siamo importanti. Siamo madri, ma anche compagne, amanti, amiche, sorelle, dee con grandi fianchi e seni rotondi. Dal punto di vista degli uomini, siamo altro-da-sé, senza il quale il sé perde forza e definizione. Senza le donne, l’identità degli uomini si fa fragile… diventa marginale.

Marginal è un affresco imponente, ogni pagina è densa, il ritmo narrativo è veloce, gli eventi si susseguono quasi forsennati perché la narrazione è polifonica, prende cioè più voci e considera tutti i personaggi e i loro punti di vista che sono sempre limitati: ogni personaggio ha il limite del suo campo visivo, ha accesso solo ad alcune informazioni e cerca di influire sugli eventi per quello che la sua sfera d’azione gli permette, e spesso la strada gli è preclusa. In altre parole, essi non sono eroi ma fallibili esseri umani, ne consegue che è difficile prevedere dove inclinerà l’azione, può succedere di tutto e di tutto in effetti succede. La Hagio è abbastanza spietata col lettore, non sembra simpatizzare con i personaggi e non mostra indulgenza nei confronti di nessuno, buoni o cattivi che siano… in questo, mi ricorda Osamu Tezuka.

Ci troviamo di fronte a un’opera perfetta, dunque? Secondo il mio parere… no. Ma i capolavori non hanno l’obbligo della perfezione, i capolavori sono densi e forniscono occasione infinita di riflessione. Personalmente avrei preferito una maggiore attenzione ad alcuni personaggi secondari che agiscono in modo un po’ troppo strumentale: Cyto ed Emerald per esempio, la cui sorte mi è pesata come un macigno per tutta la lettura dell’opera. Per converso, la dinamica della triade protagonista funziona a meraviglia: Kira è il “termine medio”, la variabile al centro tra i due estremi: il “negativo” Grinja (“Ho il presentimento che tutto stia per finire… ci precipiterà addosso e diventeremo polvere.”) e il “positivo” Ashijin (“I villaggi torneranno a dare frutti… nella città Mother risorgerà… la terra sarà rigogliosa.”). Kira è l’incognita che “oscilla” in continuazione tra Grinja e Ashijin perché deve decidere da che parte pendere: morte o vita? Speranza o distruzione?

Marginal può risultare impegnativo, ma è gratificante come poco altro. L’aspetto per me più prezioso è il fatto che un’opera di questo calibro si apprezza meglio con una lettura lenta e meditata, fornendo quindi occasione di resilienza: una scelta controcorrente, in direzione ostinata e contraria rispetto alla velocità imposta dalla società contemporanea volta al consumo rapido, al pasto veloce, alla mercificazione dei valori. Per questo credo che opere come Marginal siano indispensabili e spero continuino a trovare il loro spazio nel panorama editoriale italiano. Marginal in realtà lo considero un titolo necessario più di altri, perché dà voce alle donne con una forza inaudita, è come un grido che si propaga nella vastità del deserto… il deserto che troviamo nelle prime pagine dell’opera. Tra le dune non c’è anima viva, eppure questo grido vuole essere ascoltato. 
Ascoltatele, le donne (ed è una richiesta rivolta anche alle stesse donne: ascoltatevi, o donne). Non sarebbe triste un mondo in cui emerge un’unica voce?

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